ANGELO MODICA. LA PIETRA VIVE

  
ANGELO MODICA-LA PIETRA VIVE

di Giovanni Carbone

Modica, Maggio 2023

NdR. La segnalazione ci è giunta da Alberto Sipione, che ha organizzato nel suo spazio espositivo a Modica, ‘L’ATELIER. Non luogo di situazioni e contemporaneità’ (via Pizzo, 42), la prima mostra dell’artista, inaugurata il 24 febbraio 2023. Una vocazione e un esordio tardivo.
Scrive Alberto Sipione: «Nell’estate del 2022 già nelle prime ore del giorno la Via Pizzo a Modica Alta si risvegliava quasi giornalmente con uno scadere
regolare di un ticchettio leggermente metallico. Non era il rumore dei motorini assordanti con le marmitte truccate, ma un lieve suono. Sporgendomi
dal balcone mi accorgevo della presenza di Don Angelo sotto una nuova veste, quella di artista scultore. Con i mezzi a sua disposizione iniziava a scolpire la pietra modicana su un lato della stradina. Questa presenza attirava pure l’interesse di turisti che sorridevano attenzionando il loro sguardo su
questa presenza dai non normali tratti folcloristici. Angelo Modica è un ultra ottantenne, proletario di nascita, che all’età di 80 anni scopre un mezzo
di espressione, la pietra, lo scalpello per produrre opere che si possono definire “prodotto artistico”. Nonostante gli anni e la sua malattia che lo limita nei movimenti ha iniziato una piccola guerra contro le insidie, gli acciacchi ed i limiti della vita che anno dopo anno ci rendono differentemente abili».

 

Segue il testo di Giovanni Carbone.

Angelo Modica la sua città se la porta dentro già nel nome, «un paese a forma di melograna spaccata», diceva Mastro Don Gesualdo Bufalino. Una montagna scavata dai fiumi, e sulle pareti a strapiombo sul fondo valle l’alveare d’antiche sepolture, abituri che, con la pietra di risulta d’ulteriori estrazioni, s’aggettano a diventare case e palazzi, il disegno d’un presepe perfetto. Pure collassano, quelle pietre, sotto i colpi furibondi d’un terremoto, ma rivivono ancora, diventano le fondamenta per il colpo d’occhio che si respira dal Belvedere del Pizzo, quello che domina il paese dalla sua parte alta, dove Angelo è nato 83 anni fa, dov’è sempre vissuto, se si esclude quel certo periodo di tempo trascorso all’estero ad inseguire la promessa per una vita migliore. Quelle pietre Angelo le conosce bene, sono le stesse che affollano i campi, le fertili campagne d’intorno, che assumono forme e dimensioni esatte sotto i colpi di perizia raffinatissima del martello in testa dei “mastri de mura”, si fanno tessere del fitto e vertiginoso mosaico dei muretti a secco. Suo padre questo faceva,“u mastro de’ mura”, e Angelo, nella sua vita in campagna, ne ebbe eredità d’insegnamenti preziosi per costruire quell’arabesco infinito che racconta la storia dell’arte di rendere fertile la terra, della necessità di far ruotare le colture, del maggese, dei recinti per le bestie, protezioni dal vento di Scirocco che spazza l’altopiano nelle giornate più calde, ci ricorda d’un padre che lasciò il suo podere ai figli in parti eguali. Sono le pietre che emersero da fonda-
li marini antichi, che recano con sé la storia che precedette gli uomini, fini
sedimenti carbonatici, gusci invisibili di piccole creature sedimentate a fine
vita, che creano sostrato di destino per gli uomini che sarebbero arrivati.
Le conosce bene Angelo quelle pietre duttili, proprio come le conoscevano
abili scalpellini che ricavarono figure grottesche dalle loro forme imperfette,
quasi a voler sconfiggere la maledizione della terra che trema, esorcizzare con quelle immagini la paura e lo sconforto del perdere tutto, tutto fuorché la pietra. Angelo non le ha mai abbandonate quelle pietre, per
una vita le ha accatastate, a proteggere le radici d’un ulivo, a far spazio a quelle di viti per un vino dal sapore aspro che sa di terra e di sale. Le conosce bene per averle viste prolungarsi e rivivere in forme nuove nei mannaruni, nel dedalo dei muretti, all’ombra d’un carrubo o d’un gelso, per riposarvisi sopra dalla fatica dei campi, con caci giusti, olive, pane di casa ed un grappolo di “racina”. Quando la sua Pinuccia, la compagna d’una vita, se n’è andata e le sue figlie hanno preso strade altre , come si compete ai ragazzi che crescono, Angelo se n’è riappropriato, vi ha inciso sopra la storia delle sue memorie con strumenti semplici, un martello, la punta d’un cacciavite. O forse semplicemente quella storia l’ha tirata fuori da dove era sempre stata, dove era consapevole vi fosse la narrazione d’una vita. Proprio nel solco di quella che un tempo si definiva Art Brut ha raccontato se stesso, la sua vicenda personale, i suoi luoghi, il proprio immaginario nelle forme sorprendenti di essenze, d’alberi, delle cose che ha avuto a fianco in ogni istante del suo quotidiano. Don Angelo Modica supera, nell’essenziale della sua produzione, il paradigma dell’arte contemporanea quale merce, non cerca sfoghi narcististici, approvazione e pubblico, si esprime e basta. Documenta la sua simbiosi con la pietra, con i luoghi dov’è vissuto e vive, la racconta per quello che è, qualcosa che gli appartiene nell’intimo. Non fa gruppo o genere, è solo lui, le sue pietre, le sue memorie, la sensibilità di un uomo che non cerca facili accondiscendenze. Non si concede fronzoli, ha financo quasi un pudore intimo nel parlare delle sue cose, della sua arte, si limita a mostrarle con un sorriso che sa di gratitudine a chi glielo chiede.


L’idea di esporre le sue opere all’A/telier pare sia fatto connaturato alla ricerca di una dimensione dell’arte che non s’adegua ai luoghi canonici che l’immaginario collettivo mercificato ha predisposto. L’Altelier di Modica Alta, del resto, è uno spazio espositivo dove non dovrebbe esserci, semplicemente l’anticamera d’una abitazione trasformata ad un uso condiviso, per ospitare arte, al centro d’un quartiere che non v’è preposto, popolare e vecchio, intriso di tradizione ma non abbastanza vicino a fasti da cartolina come quello più in basso. Vi si fermano rari turisti, quelli che sono adusi a esplorazioni faticose a percorrenza di vicoli stretti, dedali di stradine e scalinate erte ancora scavate nella pietra, silenzi profondi, scarpinanti che s’attrezzano allo stupore dell’improvvisa apertura sul presepe di case. È quartiere dove la domenica presto puoi fare ancora colazione con vino e bollito, come facevano i contadini d’un tempo, dove puoi trascorrere serate sotto le scale d’una chiesa sempre con qualcosa da bere che non necessita di mutui a tasso d’usura a conto fatto. Basta mettere tre sedie fuori da quel posto e può fermarsi qualcuno ad occasionale passaggio, che s’appassiona ad una esposizione di cui non sapeva nulla, e di quella si mette a discutere come si ritrovasse in un luogo già noto, con lo sfondo del jazz di Miles o The Goldberg Variations di Bach suonata da Glenn Gould.
Pure si ferma Peppe, custode dell’imponente chiesa prossima, birra e sigaretta in mano, e sempre il vecchio Don Angelo, l’abilissimo “mastro” di muri a secco, che s’accomoda con libro in mano o grappolo d’uva della sua vigna, perché d’istinto, come tira fuori ghirigori di racconti dalla pietra, Don Angelo sa bene cosa vuol dire Outsider Art, nemmeno intende rinunciare a farne parte.

Articolo pubblicato nel numero 25 dell’ “OSSERVATORIO OUTSIDER ART” numero primavera maggio 2023. ( Qui in formato PDF www.outsiderartsicilia.it/public/download/11781/primavera 2023 n.25_compressed.pdf )

Ringraziamo il presidente Eva Di Stefano per la pubblicazione di questo contributo e consigliamo di seguire la pagina e le attività su questa pagina : www.outsiderartsicilia.it/

L’Osservatorio Outsider Art è dedicato alle forme di arte spontanea, clandestina, irregolare, eccentrica, creata da autori culturalmente, mentalmente o socialmente emarginati, e a tutte quelle espressioni artistiche che si manifestano fuori dai percorsi convenzionali e dai circuiti culturali istituzionalizzati, e che, a livello internazionale, sono state già identificate nel loro aspetto più storicizzato con la nozione di Art Brut e oggi rientrano nella categoria più ampia e dinamica dell’Outsider Art.