Luciana Perego / Giuseppe Kastano
di Giovanni Carbone -Luciana Perego
Modica, Luglio 2023
Luciana Perego
Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita.
I riti trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa.
Essi, dunque, rendono la vita resistente.
Byung-Chul Han – la scomparsa dei riti
Mi appassiona il tema del vuoto quale dimensione in cui le cose accadono, dove il movimento è possibile. Un luogo di risonanza, capace di stimolare la percezione del sacro; un non-luogo spirituale, abissale, dal quale si tenta la fuga attraverso il consumo; uno spazio, al nostro tempo, necessario all’emersione della singola parola e il suo etimo.
I “contenitori del vuoto” attraverso la forma e l’armonia dei colori, esercitano attrazione sulle emozioni; catturano, per poi trattenere dentro il loro impalpabile contenuto. Giocarci, significa fare spazio alla parola che risuona, quella che vuole essere compresa, mentre il contatto con l’argilla infonde quiete.
La mia produzione è considerevolmente limitata: evito di usare macchine o stampi. Ogni pezzo, creato a lastra, a colombino o con un tornio manuale risponde del momento, dello stato d’animo. Ciò richiede tempo e costringe ad una continua progettazione ma concede un rapporto musicale con la materia, smuove il vissuto, invita a dargli forma e un nome.
Utilizzo l’argilla quale strumento per lavorare con le emozioni: ho messo a punto un particolare modulo di “manipolazione sensoriale”, sapendo che l’argilla, per provenienza dal regno minerale, induce alla quiete e che, per sua natura assorbe e rilascia, favorendo un processo di fioritura
Conosco il fascino dello sperimentare con il fumo e il fuoco, che sono giochi e improvvisazioni tipiche del fare ceramica Raku: essa mi affascina, sorprendente nei risultati cromatici, inattesi, a volte migliori della stessa aspettativa; indomabile nel suo essere materia assorbente esposta all’affumicatura.
Del fare ceramica, penso che non esiste limite alle possibilità. La ceramica è antropologicamente dentro di noi, da sempre accompagna la storia dell’uomo. A lei, spesso mi affido per dare consistenza al mio sentire, sapendo che, come l’acqua, può assumere qualsiasi forma e, in più, la mantiene nel tempo.
Golden SpiKe
Di Giovanni Carbone
Giuseppe Kastano è un artista e grafico di Messina, ha trascorso diverso tempo negli ambienti artistici dei Paesi Bassi, poi entra in contatto con le esperienze del teatro povero di Jerzy Grotowski. Osserva con cura le produzioni di Keith Haring, di A.R. Penk e si interessa al lavoro dell’etologo Richard Dawkins cui si ispira per la sua tesi “Prima Memetica Teatrale” con cui si diploma con lode alla Scuola di Scenografia. Trova un catalizzatore formidabile delle sue esperienze di formazione nel trogloditismo ibleo, nell’arte rupestre il cui substrato sono le cave, gli abituri rupestri, i frequenti aggrottamenti dove luci ed ombre si susseguono in un dedalo vertiginoso di immagini e suggestioni.
Le sue riproduzioni hanno l’elevato valore simbolico di un ricongiungimento necessario con la natura, evidente nell’espressione materica delle sue produzioni. Nè si pone limiti nell’utilizzo degli strumenti che veicolano la sua ricerca, fotografia, pittura, installazioni.
Nel suo tratto primordiale non c’è la banalità della riscoperta di radici, una riappropriazione identitaria, queste sono precondizioni che appaiono acquisite, diventano solo quinta scenografica per un viaggio di scoperta nell’essenza dell’intimo primigenio. È arte esplorativa d’una istintualità naturale perduta, ed in questo, dunque, si compenetra la prospettiva di ricerca. Le forme semplici sono rappresentazione organica della realtà nascosta nel gesto naturale, introducono all’archetipo generativo oltre il quale esiste ogni altrove possibile.
I lavori di Kastano recuperano quella prospettiva dimenticata, sepolta nel consueto del moderno, nella folcloristica rappresentazione d’un passato invecchiato su cui edificare un oggi asfittico ed immoto. Dentro quelli che Kastano produce, sono le tracce di ricordi perduti, di spazio senza il tempo, perfetto contraltare al “tutto e subito”, riesumati con procedimenti che paiono di maieutica socratica. Non c’è concessione alla ricerca estetica e formale, ma adesione ad una potente evocazione della realtà interiore in cui ogni dettaglio, ogni figura, diventa la parte per il tutto e che offre lo sguardo ad altri per essere ri-visto, ri-letto, ri-evocato.
Kastano non esplora spazi infiniti ma ne rappresenta l’essenza, non si concede al futuro, ma ne traccia la dimensione esatta, non descrive il passato ma ce lo racconta nelle sue sfumature esiziali. Attraversa il tempo senza muoverlo, riscopre la lentezza del gesto essenziale, non nelle forme della nostalgia di ciò che fu, quasi si volesse ritardare l’incedere inesorabile e minaccioso d’un futuro terrificante.
Ci ricorda che l’Utopia è già in noi pur se spesso non abbiamo occhi, nemmeno ogni altro senso, per coglierla. Nel segno primordiale, nella geometria in apparenza semplice, la denuncia definitiva dell’inconsistenza di quel futuro che è privo di intimo naturale, d’istinto e memoria e che altro non è, per dirla con Nabokov, “l’obsoleto al contrario”.