Le vibrazioni del viaggio
(Allonsanfàn parte ventiduesima: “Live from the Globe” di Stefano Meli)
“Gettato sull’erba vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti trasumanati in lontananza, come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinità maestà della natura…” (Canti Orfici, Dino Campana)
Stefano Meli non pare mai tipo da prove lunghe ed estenuanti, è sempre da buona la prima, che quella è la sola giusta. Le corde della sua chitarra vibrano sempre di viaggio e scoperta, e se i suoni sono quelli che hanno capacità di sollevare la polvere di deserti lontani, a me, pure, mi danno sensazioni di percorrenze di trazzere sperdute a margine d’un altrove che è casa nostra condivisa, come condiviso si fece un fiasco di vino dal sapor di terra e di sale. Vibrano quelle corde, ancora, per un disco nuovo che si fece vivo – ma quando mai non lo fu? – dal vivo, in una serata al Globe di Ragusa. Qualcosa spizzicata qua e là tra le cose sue, roba di Viceversa Records, tutte con quella propensione a lasciare aperta la storia d’un altro viaggio.
Viaggio notturno, tra la fioca luce dei lampioni d’una qualche Suburbia, pure attraversamento d’altro, comunque giammai a itinerario fermo, prestabilito, solo corso per vite libere, come altro non può essere. Quest’ultimo lavoro di Stefano questo mi ricorda, scorrimento lento in terra iblea, quando si fa terra d’altrove, concorre con Patagonie e deserti. E quello m’evoca forse solo per nostalgia di luoghi e affratellamenti di cui mai facemmo a meno. Qualche volta bisogna fare rotta altrove, oltre la cittadella presa d’assalto. L’altopiano sulle guide non c’è, lo consente. Ci puoi fare decine di chilometri e non incontrarci nessuno, che presenza umana invece è dappertutto, in dedalo infinito di muri a secco, pietre su pietre strappate alla terra. C’è ancora un altro blues che vibra lì.
Quadrati, rombi, trapezi, cerchi ed ovali, raccontano storie antiche. Antichi abituri che non smisero mai d’essere abitati, che di destinazione d’uso fecero gioco bislacco, financo sepoltura di vassallo d’Eblon divenne chiesa di Bisanzio, tombe si fecero magazzini, ovili, abitazioni di chissà quante genti da mille mila anni per bagaglio d’ampia fantasia a necessità impellente. L’intarsio è roba di ordito intricatissimo, d’eleganza somma, sguardo di vertigine si spinge sinché ce n’è. E poi, d’improvviso dicchi e pieghe della crosta, per irrequietezza di mantelli incandescenti, di sommovimenti terribili, pure strapiombi infiniti, dove le acque gelide di fiumi si fecero e si fanno strada a scavare tane per trote, volpi, ghiandaie e biacchi iridescenti. C’è comanda di suoni giusti tra quei cento anfratti che nascosero velli d’oro e trovature in fondo ad arcobaleni. Tutto si fa ingresso a terra di Lotofagi e smarrisci ogni tema di ritorno. Terra di fiabe, terra d’apparenza sola, che di colori si fece tavolozza densa, e non si curò che di chi ne seppe cogliere l’indispensabilità d’ogni cromatismo. È terra che puoi attraversare come ti pare, ma se c’è una corda giusta che t’accompagna, come filo d’Arianna, è quella che vibra ancora nelle cose di Stefano. E a proposito, il 21 presenta il suo Apache è qui.
Stefano Meli presenta il suo CD-Apache presso l’A/telier, giorno 21.05.23 alle ore 18.30 .
Modica Alta,Via Pizzo 42