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Raffaello De Vito

Raffaello De Vito

Raffaello De Vito vive e lavora in Italia tra Reggio Emilia e Modena.

Si avvicina alla fotografia all’età di 12 anni e a 14 inizia il suo percorso formativo in uno studio di fotografia pubblicitaria, esperienza che lo porterà a confrontarsi con diversi professionisti del settore e con importanti aziende presenti sul mercato internazionale.

Alla fine degli anni Ottanta inizia una collaborazione come assistente alla produzione con Luigi Ghirri, collaborazione che si interrompe nel 1991 con la prematura scomparsa del grande fotografo e che ha dato inizio a una ricerca visiva che esplora ancora oggi.
Un costante lavoro di semplificazione, di sottrazione e di sintesi verso un linguaggio universale immediatamente comprensibile.

Ha al suo attivo diverse esposizioni in Svizzera, Francia, Spagna, Inghilterra e Italia oltre a numerose pubblicazioni nei siti web di tutto il mondo.

Mahsa Amini Martyr

 

Raffaello De Vito è fotografo raffinato, dotato di grande tecnica, padronanza degli strumenti. Ma non ne fa uso consueto, non ricerca perfezione d’immagini e basta, studia, concepisce, elabora narrazioni complesse….

De Vito centra la quinta scenografica della vicenda nell’estremo miserabile del mondo degli ultimi, ma non ne fa riproposizione compassionevole, pietistica. Ne disvela piuttosto l’essenza materiale, non indugia in infingimenti, nemmeno produce moralismi…… ( Giovanni Carbone )

Le atrocità sollevano unindignazione minore, quanto più le vittime sono dissimili dai normali lettori, quanto più sono more”, sudice”, dago. Questo fatto illumina le atrocità non meno che le reazioni degli spettatori. (…) Laffermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom. Della cui possibilità si decide nellistante in cui locchio di un animale ferito a morte colpisce luomo. Lostinazione con cui egli devia da sé quello sguardo – “non è che un animale” – si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli uomini, in cui gli esecutori devono sempre di nuovo confermare a se stessi il non è che un animale”, a cui non riuscivano a credere neppure nel caso dellanimale. Nella società repressiva il concetto stesso delluomo è la parodia delluguaglianza di tutto ciò che è fatto ad immagine di Dio. Fa parte del meccanismo della proiezione morbosa” che i detentori del potere avvertano come uomo solo la propria immagine, anziché riflettere lumano proprio come il diverso”. (Theodor Adorno)