LâA/TELIER
NON LUOGO DI SITUAZIONI E CONTEMPORANEITĂ
Associazione ricreativa culturale
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LâA/telier è situato in una delle stradine principali di Modica Alta, in via Pizzo.
LâAtelier offre uno spazio ad artiste e artisti locali, nazionali e internazionali. Luogo dâincontro di diverse culture e approcci alle espressioni artistiche. Uno spazio privato allâinterno di un abitazione che si trasforma in galleria. Non siamo legati a nessuna organizzazione e nessun finanziamento per garantire la nostra assoluta indipendenza. Lâarte deve essere libera, in ogni forma e norma, senza restrizioni di societĂ e controllo dallâesterno, rappresentando la forma pura dellâespressione creativa.
âLa rapiditĂ dello sviluppo materiale del mondo è aumentata. Esso sta accumulando costantemente sempre piĂš poteri virtuali mentre gli specialisti che governano le societĂ sono costretti, proprio in virtĂš del loro ruolo di guardiani della passivitĂ , a trascurare di farne uso. Questo sviluppo produce nello stesso tempo unâinsoddisfazione generalizzata ed un oggettivo pericolo mortale, nessuno dei quali può essere controllato in maniera durevole dai leader specializzati.â (Guy Debord, I Situazionisti e le nuove forme dellâarte e della politica)
Testo di Giovanni Carbone
Le arti non si parlano, non comunicano, si muovono in due direzioni precise, la narcisistica pretesa della propria superioritĂ lâuna sullâaltra, si trasformano pure, con protervia efficacissima, in manifestazioni elitarie. Pochissimi poeti ritengono di costruire dialoghi con pittori o scultori, il viceversa vale in misura eguale; rari fotografi immaginano un confronto alla pari con musicisti, e lâopposta direzione si realizza in medesima maniera, inquietante resistenza al confronto. Quando lâassioma della specializzazione ad ogni costo, del narcisismo patologico pare viene meno, è assai comune che finga solo sia cosĂŹ, chĂŠ il rapporto artistico non è orizzontale, frutto di dialettica, condivisione, progetto comune, diventa convincimento sacro ed inviolabile che âlâaltroâ abbia â si merita, meglio â una condizione didascalica, ruolo di insalatina intorno al piatto forte. Dunque, non nasce movimento transartistico, non esiste avanguardia fondata su idem sentire. Il confronto regredisce al nulla, rimane relegato a sacche resistenti ubicate forzosamente nellâoblio del no-social. Di piĂš, lâarte diviene merce, lâartista è mercante che rimuove lâatto creativo per produrre serialitĂ , salvo cambiarne lâidentitĂ in funzione del desiderio palesato del consumatore. Critici, gallerie, curatori non sâadeguano semplicemente, divengono artefici del declino, complici â inconsapevoli? â della regola ferrea dellâincomunicabilitĂ , condizione fondante della specializzazione. PiĂš lâosmosi artistica si impoverisce, piĂš la qualitĂ dellâarte regredisce a tratti di mera spazzatura, costruisce per sĂŠ la condizione di disperato germoglio su terre aride. Non esiste oggi possibilitĂ alcuna che un Asger Jorn sorseggi vino in una bettola dâi âun paese di frontiera con Peggy Guggenheim in dialettica serrata con Debord, i Velvet Underground non vedranno piĂš immagini warholiane sui loro dischi. Nessuno scriverĂ manifesti per nuove forme dâarte chĂŠ questa sarĂ progressivamente appannaggio di classi sociali che, al contempo, ne detengono il controllo e ne decretano la morte per asfissia da specializzazione. Nemmeno lâarte pare piĂš espressione del tutto dâintorno, punto dâosservazione privilegiato su quello, lo evita anzi, perchĂŠ se ne pretende, pure quando appare provocatoria ed eretica, una natura rassicurante un tanto al chilo. Questo credo, pure se vâè testimonianza di sacche di resistenza, tentativi di ribaltare lo stato di cose. Ce nâè di tali che portano arte nei non luoghi dellâarte, sâaprono frontiere dâemancipazione e di riscoperta dâumanitĂ dove convenzioni non scritte non ne prevedono, che costruiscono le condizioni proprie della dialettica orizzontale tra le forme espressive, riportano lâarte ad altezza dâogni individuo, senza pretesa di conoscerne il budget a disposizione. Che se ne parli, che ognuno lo faccia come può e quando può, ne racconti lâesistenza, ne produca lâincontro che si fa anti-rete (virtuale), filo robusto di legame autentico, che sottrae spazio a squallidi mercanti del click, del mega-evento devastatore, della prebenda familistica. Lâho fatto in due occasioni per lo stesso luogo (lo conosco meglio, altre ne intravidi di interesse notevole ma non ne ho dettaglio esiziale).
Faccio tre con LâAltelier di Modica Alta, uno spazio espositivo dove non dovrebbe esserci, semplicemente anticamera dâuna abitazione trasformata ad un uso condiviso, per ospitare arte, al centro dâun quartiere che non vâè preposto, popolare e vecchio, intriso di tradizione ma non abbastanza vicino a fasti da cartolina come quello piĂš in basso. Vi si fermano rari turisti, quelli che sono adusi a esplorazioni faticose a percorrenza di vicoli stretti, dedali di stradine e scalinate erte, silenzi profondi, scarpinanti che sâattrezzano allo stupore dellâimprovvisa apertura sul presepe di case. Ă quartiere dove la domenica presto puoi fare colazione con vino e bollito, dove puoi trascorrere serate sotto le scale dâuna chiesa sempre con qualcosa da bere che non necessita di mutui a tasso dâusura a conto fatto. Basta mettere tre sedie fuori da quel posto e può fermarsi qualcuno ad occasionale passaggio, alla ricerca del belvedere con paesaggio mozzafiato, centro metri piĂš avanti, che sâappassiona allâesposizione, si mette a discutere con lo sfondo del jazz di Miles o The Goldberg Variations di Bach suonata da Glenn Gould. Ma pure si ferma Peppe, custode pomeridiano della galleria, birra e sigaretta in mano, oppure il vecchio don Angelo, un tempo abilissimo âmastroâ di muri a secco, che sâaccomoda con libro in mano o grappolo dâuva della sua vigna.
Ed a chiusura dello spazio, le convergenze evolutive, il progetto che pretende trasformazione, prosegue piĂš giĂš, al fresco dello slargo, a tavola, incontro di sensibilitĂ diverse, anche solo di chi semplicemente si trova attratto da conversazioni altre. Ă esperienza di sanitĂ mentale, è progetto ricostruttivo, atto di resistenza estrema alla barbarie delle elitĂŠ che pretendono pure di controllare e di guidare il senso, financo la percezione, della bellezza. Altre esperienze ci sono senzâaltro, se cominciano a sentirsi, parteciparsi, creano discontinuitĂ , la potentissima â e terribilmente fragile â societĂ dello spettacolo non se lo può permettere.