Archivio Categoria: artista

UNICA

UNICA

testo di Giovanni Carbone

UNICA ( Leonie Adler ) è artista contemporanea, nata a Pune, in India, con radici irlandesi, è cresciuta e vive in Svizzera. La sua anagrafica non è, come appare dalle sue realizzazioni, un dato neutro, un timbro su un passaporto, è elemento pregnante della sua formazione artistica. Infatti, le sue forme geometriche esatte, disegni ad ago e filo, esprimono un’attrazione fatale per l’ambiente, lo interpretano quale contenitore di culture, ella stessa è consapevolmente scrigno di diversità che si uniscono ad ogni passaggio d’ordito. Il contrasto cromatico tra le sue forme ne evidenzia il desiderio di riscoperta, induce alla ricerca d’un viaggio intimo nello spazio e nel tempo attraverso traiettorie spiazzanti, un susseguirsi di cambiamenti repentini di direzione, quasi a voler significare la ricerca precisa del dettaglio, il non volersi precludere nulla che le appartiene, che appartiene al tutto d’intorno.

Ma è anche desiderio di fuga da quotidiani standardizzati e labirintici, il rifiuto di direzioni preconfezionate, della banalità prêt-à-porter. Nonostante la scelta del filo, dell’ago, dunque, Unica non rassomiglia affatto alla più celebre delle tessitrici, non è Penelope, i suoi complessi intrecci non sono trame che si sfilacciano, si scuciono, ma memoria di una direzione precisa ancorché mai scontata, flusso di informazioni che non si esaurisce ma che fa d’ogni passaggio condizione essenziale per l’esistenza del successivo. Rassomiglia ad Arianna, invece, i suoi orditi indicano percorsi salvifici di liberazione, includono la possibilità del ritorno. In quel tornare a casa, alle sue radici, come nelle articolazioni più complesse dell’intimo, non v’è mai ricerca appagante di staticità, d’un passato che invecchiato si trasforma in presente, ma la prospettiva d’un nuovo viaggio, di nuove esperienze che, a paradosso di apparenza d’accumulo, lo rendano ogni volta più leggero, più agile.

Pare che Unica si ricerchi, si ritrovi, infine, nelle sue origini, nelle sue infinite discendenze, e su quelle può contare – paesaggi della memoria d’un vissuto – come intensa scarica emozionale per una nuova ripartenza. In buona parte autodidatta, ha tuttavia assorbito perfettamente le prospettive artistiche di Louise Bourgeoise e dell’artista tessile svizzera Lissy Funk.

È anche membro dell’associazione artistica GAAL.

 

UNICA ( Leonie Adler ) is a contemporary artist, born in Pune, India, with Irish roots, grew up and lives in Switzerland. His registry is not, as appears from his creations, a neutral data, a stamp on a passport, he is a meaningful element of his artistic training. In fact, its exact geometric shapes, needle and thread designs, express a fatal attraction for the environment, interpret it as a container of cultures, she herself is consciously a casket of diversity that unites with each passage of warp. The chromatic contrast between its forms highlights its desire for rediscovery, leads to the search for an intimate journey through space and time through surprising trajectories, a succession of sudden changes of direction, as if to mean the precise search for detail, not wanting to preclude anything that belongs to it, which belongs to the whole.

But it is also a desire to escape from standardized and labyrinthine newspapers, the refusal of pre-packaged directions, of prêt-à-porter banality. Despite the choice of the thread, the needle, therefore, the only one does not resemble the most famous of the weavers at all, it is not Penelope, its complex weaves are not weaves that fray, they unstitch, but memory of a precise direction even if never taken for granted, a flow of information that does not end but that makes every passage essential condition for the existence of the next. It resembles Ariadne, however, his warps indicate salvific paths of liberation, include the possibility of returning. In that returning home, at its roots, as in the most complex articulations of the intimate, there is never a fulfilling search for static, a past that aged turns into the present, but the prospect of a new journey, new experiences that, paradoxically, make it more agile.

It seems that unique is sought, finally, in its origins, in its infinite descendants, and on those it can count – landscapes of the memory of a lived experience – as an intense emotional discharge for a new restart. In large part self-taught, however, he perfectly absorbed the artistic prospects of Louise Bourgeoise and the Swiss textile artist Lissy Funk. She is also a member of the Gaal Artistic Association.

 

Raffaello De Vito

Raffaello De Vito

Raffaello De Vito vive e lavora in Italia tra Reggio Emilia e Modena.

Si avvicina alla fotografia all’età di 12 anni e a 14 inizia il suo percorso formativo in uno studio di fotografia pubblicitaria, esperienza che lo porterà a confrontarsi con diversi professionisti del settore e con importanti aziende presenti sul mercato internazionale.

Alla fine degli anni Ottanta inizia una collaborazione come assistente alla produzione con Luigi Ghirri, collaborazione che si interrompe nel 1991 con la prematura scomparsa del grande fotografo e che ha dato inizio a una ricerca visiva che esplora ancora oggi.
Un costante lavoro di semplificazione, di sottrazione e di sintesi verso un linguaggio universale immediatamente comprensibile.

Ha al suo attivo diverse esposizioni in Svizzera, Francia, Spagna, Inghilterra e Italia oltre a numerose pubblicazioni nei siti web di tutto il mondo.

Nuove famiglie

NUOVE FAMIGLIE

 

Raffaello De Vito è fotografo raffinato, dotato di grande tecnica, padronanza degli strumenti. Ma non ne fa uso consueto, non ricerca perfezione d’immagini e basta, studia, concepisce, elabora narrazioni complesse….

De Vito centra la quinta scenografica della vicenda nell’estremo miserabile del mondo degli ultimi, ma non ne fa riproposizione compassionevole, pietistica. Ne disvela piuttosto l’essenza materiale, non indugia in infingimenti, nemmeno produce moralismi…… ( Giovanni Carbone )

Le atrocità sollevano unindignazione minore, quanto più le vittime sono dissimili dai normali lettori, quanto più sono more”, sudice”, dago. Questo fatto illumina le atrocità non meno che le reazioni degli spettatori. (…) Laffermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom. Della cui possibilità si decide nellistante in cui locchio di un animale ferito a morte colpisce luomo. Lostinazione con cui egli devia da sé quello sguardo – “non è che un animale” – si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli uomini, in cui gli esecutori devono sempre di nuovo confermare a se stessi il non è che un animale”, a cui non riuscivano a credere neppure nel caso dellanimale. Nella società repressiva il concetto stesso delluomo è la parodia delluguaglianza di tutto ciò che è fatto ad immagine di Dio. Fa parte del meccanismo della proiezione morbosa” che i detentori del potere avvertano come uomo solo la propria immagine, anziché riflettere lumano proprio come il diverso”. (Theodor Adorno)

Giuseppe Kastano

Giuseppe Kastano

Giuseppe Castano, noto con lo pseudonimo di Kastano è un artista Siciliano originario di Messina. Nel 1998 dopo il diploma di maturità tecnica, trascorre diversi anni nei Paesi Bassi tra Eindhoven e s-Hertogenbosch dove ha l’opportunità di immergersi in un ambiente artistico vivace e stimolante. Nel Noord-Brabant entra in contatto con le opere di artisti di grande talento partecipando a diverse mostre collettive. (“Conflicten en contrasten” bij “Stedelijke Ruimte” in Breda, 1999. “Voorbij de conventies” bij Galerie Reeshof in Tilburg, 1999. “Tussen realiteit en verbeelding” bij KIKA Hedendaagse Kunst in Eindhoven, 2000.) Questa esperienza rappresenta un momento cruciale nella sua formazione artistica che gli consente di acquisire prospettive e conoscenze che sarebbero diventate fondamentali per la sua ricerca artistica.
Nel 2001 durante il periodo di “obiezione di coscienza militare” svolto a Milano partecipa a diversi laboratori teatrali approfondendo i temi cari al teatro povero di Jerzy Grotowski. Questa esperienza lo spinge a intraprendere gli studi artistici e nel 2003 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. In quegli anni, fonda con un gruppo di artisti messinesi l’associazione SLOA (Spazio Libero Officina Artistica) con la quale realizza innumerevoli progetti sul territorio, (2003 “Memoria Percezione Progetto a cura dell’Ass. Culturale St. Art – Spazio espositivo d’Arte Contemporanea Rotonda Nervi (R.C.) Performance body paint-mimeting “MIMESIS” | 2003 Concorso letterario internazionale a cura di “IL CONVIVIO” – Hotel ASSINOS Giardini Naxos (ME) – Mostra collettiva di pittura | 2004 – Festa di primavera a cura Ass. Aurora Messina – Forte Cavalli di Larderia Me – Estemporanea di pittura | 2004 Mostra collettiva “Messina in Arte” a cura dell’Accademia Internazionale “Il Convivio” – Salone degli Specchi Provincia Regionale di Messina) e un intervento di arte urbana su uno stabile nella zona di Messina nord curata dall’arch. C. Celona. Nel 2006 discute la tesi in regia dal titolo “Prima Memetica Teatrale” sugli studi dell’etologo Richard Dawkins diplomandosi con lode nella Scuola di Scenografia.

 

La ricerca artistica di Kastano si dipana tra luce e materia, tra pittura, installazioni e fotografia. Le sue opere più recenti sono incentrate sulla forza evocativa delle incisioni rupestri, in cui rivivono mondi immaginari, conflitti, amori e moderne oppressioni riproposti su mezzi fisici come tele e sculture e immateriali come NFT e videoarte.
La sua opera è fortemente influenzata dal territorio degli Iblei e dal trogloditismo che si respira nelle sue cave, le superfici ruvide e scabre dei canyon ragusani diventano per lui fonte di ispirazione e l’uso di colori neutri e naturali, di lamine metalliche e di neri primordiali rimandano alla sensazione di antichità e armonia con la natura che caratterizza l’arte preistorica. Kastano però si avvicina all’arte rupestre in maniera simbolica, cercando di riproporre l’essenza e l’energia dei segni incisi nella roccia con figure antropomorfe e motivi geometrici che sono anche figli dell’influenza di artisti come Keith Haring e A.R. Penk.
Kastano ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui una segnalazione dalla critica presieduta dall’artista Hidetoshi Nagasawa per l’opera “pacato spreco, resterà solo sale” esposta a FRONTIERART, la Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo del 2003. Le sue creazioni fanno parte di collezioni private in tutta Europa.
Oggi Kastano divide il suo tempo tra la professione di grafico pubblicitario e quella di pittore a Modica, in Sicilia, dove continua a esplorare i confini dell’arte rupestre e della sua reinterpretazione contemporanea.

 

Aldo Giovannini

Aldo Giovannini

Aldo Giovannini nasce a Bologna nel ’67.
Artista polivalente forma un proprio percorso improntato sulla sperimentazione di diversi ambiti espressivi nella ricerca scultorea svincolata dai canoni accademici, nella messa in opera di installazioni interattive, nella progettazione e realizzazione di scenografie e arredi urbani e nella produzione di oggetti di design. Ha operato soprattutto a Bologna, ma anche Firenze e Milano. Trasferitosi da alcuni anni in Sicilia il suo lavoro si è sviluppato tra Catania, Noto, Modica e Siracusa, dove si è stabilito in modo permanente aprendo un suo atelier di scultura .

 

Tempo e Psiche

Il mondo abitato dall’uomo moderno è ormai denso, saturo, di immagini e suoni,… si accavallano tra loro , entrano dentro di noi e non ci danno il tempo di metabolizzare ciò che si portano con sé . La dimensione temporale si è compressa, impedendoci di trovare una “risposta”, siamo perciò portati a divenire soggetti passivi, spettatori di una quantità impressionante di sollecitazioni .

Fermare il tempo o almeno rallentarlo … porci davanti alla nostra interiorità al suo rapporto con il passato, anche remoto … lo si può fare, è necessario farlo per me almeno,….attraverso le mie mani, che si fanno strada tra i meandri dell’esistente, nell’alterità, nelle visioni della psiche nella sua memoria, nei desideri, nei suoi sogni io finalmente compio il mio atto taumaturgico, divento parte del tutto, mi riconnetto con la parte più viva di me con la parte più autentica, traccio un ponte verso il sentiero dell’irrazionale, del simbolico, archetipico  che mi appartiene, che ci appartiene, la possiamo riconoscere basta avere il tempo di guardarla in fondo agli occhi.

( Aldo Giovannini )

 

Luciana Perego

Luciana Perego

“Mi appassiona il tema del vuoto quale dimensione in cui le cose accadono, dove il movimento è possibile. Un luogo di risonanza, capace di stimolare la percezione del sacro; un non-luogo spirituale, abissale, dal quale si tenta la fuga attraverso il consumo; uno spazio, al nostro tempo, necessario all’emersione della singola parola e il suo etimo.

I “contenitori del vuoto” attraverso la forma e l’armonia dei colori, esercitano attrazione sulle emozioni; catturano, per poi trattenere dentro il loro impalpabile contenuto.   Giocarci, significa fare spazio alla parola che risuona, quella che vuole essere compresa, mentre il contatto con l’argilla infonde quiete.

La mia produzione è considerevolmente limitata: evito di usare macchine o stampi. Ogni pezzo, creato a lastra, a colombino o con un tornio manuale risponde del momento, dello stato d’animo. Ciò richiede tempo e costringe ad una continua progettazione ma concede un rapporto musicale con la materia, smuove il vissuto, invita a dargli forma e un nome.

Utilizzo l’argilla quale strumento per lavorare con le emozioni: ho messo a punto un particolare modulo di “manipolazione sensoriale”, sapendo che l’argilla, per provenienza dal regno minerale, induce alla quiete e che, per sua natura assorbe e rilascia, favorendo un processo di fioritura

Conosco il fascino dello sperimentare con il fumo e il fuoco, che sono giochi e improvvisazioni tipiche del fare ceramica Raku: essa mi affascina, sorprendente nei risultati cromatici, inattesi, a volte migliori della stessa aspettativa; indomabile nel suo essere materia assorbente esposta all’affumicatura.

Del fare ceramica, penso che non esiste limite alle possibilità. La ceramica è antropologicamente dentro di noi, da sempre accompagna la storia dell’uomo. A lei, spesso mi affido per dare consistenza al mio sentire, sapendo che, come l’acqua, può assumere qualsiasi forma e, in più, la mantiene nel tempo.”

Luciana Perego vive e lavora a Ispica in provincia di Ragusa

Konrad Hofer

Konrad Hofer 1928 – † 2006

The Song of the Stones

Every life has its constants. They can be traced back particularly far for Konrad Hofer. When he was a child he already picked up stones instead of pretty carved little cows. Konrad Hofer remembers in detail, fifty years later. “I just needed stones in my hands.”
By becoming a painter he has stayed as true to his earliest childhood dream as he has to the stones. Even if the only pictures he knew at that time were on the cover of the Beobachter (a Swiss consumer-rights periodical).
This unwavering approach and comprehensiveness, which grew out of his slow and steady Emmentaler way, has determined Hofer’s life and work. He knows what he wants, without allowing this to lead him into self-assured satisfaction. He is incredibly self-critical, repeatedly destroying pictures. “I don’t let anything live that I don’t agree with.”
Thus only a few of his early works can be viewed in this exhibition in Liestal. “Still life with a jug and a bottle before a window compartment” (around 1955) fascinates observers through its assiduously conforming construction and the qualities of the earthy hues.
To this day Hofer continues to address a return to elementary forms, with which he already started in his early paintings, with a countryside scene always representing the starting point. By looking at the reality of the hills, a herd of cows, a massive rock formation, he seeks the basic geometrical forms and makes them visible in cubic sequences and reduced forms of colour.
In “Abfallende Küste” (Sloping Coast), a composition from 1960, blocks of stone, immense horizontal forms, lie before a sea. A crusty, chalky white into a lucid blue intensifies the impression of the grandiose nature of the area. It is hardly surprising that the Basel Kunsthalle’s erstwhile curator, Arnold Rüdlinger, noticed this balance between colour and form and exhibited Hofer’s works, together with that of other young Basel artists, in 1961.
The step from the virtually constructed colour schemes of his paintings to reliefs was thus logical, as is always the case with Hofer. From 1969 onwards he created tectonic gradations from wood or – for example on the facade of the BIS in Basel – stone. His sense of the essential makes Hofer an ideal partner for architects.
Outer and inner experiences entwine in each other with an artist such as Konrad Hofer. That was around 1975. Mid-life. He found the countryside of his soul. In Provence he “happened upon” one of those quarries from which the Romans had already quarried blocks for the Pont du Gard aqueduct. The hewing of stone by the stonemasons creates ever-new steps. Quads, even formations that remind us of an ancient theatre. Places of silence and drama that Hofer could have made up. Here the secretively sinister world of the Emmental was probably complemented by a jovial ancient god of the south.
Quarries have remained Konrad Hofer’s main subject to today. He sits in them, a solitary drawer, sketching, pondering. In his workshop he creates the images. Their unique characteristics lie in the linkage between painted zones and drawn hatchings. Dazzling brightness is transformed into deepest shadow.
Konrad Hofer finds picture hieroglyphs for the dynamic topography, but also for the immutability of time in these places.
One series of pictures is called “Gewaltige Verschiebungen” (Massive Fractures). Bright blocks of limestone dominate the picture as sternly constructed sloping planes. One’s thoughts are drawn to runways for aliens. And another composition is actually called “Der Schatten des Ikarus” (Icarus’ Shadow), a dark silhouette over red earth.
Konrad Hofer does not suddenly become a metaphysician. But for someone like him, who is at home in seamless being, there are no borders separating a perceived myth from reality, nature’s from a soul’s space.
Annemarie Monteil
Preface from the catalogue for the 14th exhibition of the Gymnasium Bodenacker secondary school in Liestal.
3rd of October – 1st of November 1987

 

La canzone delle pietre

Ogni vita ha le sue costanti e nel caso di Konrad Hofer queste possono essere ricondotte particolarmente indietro. Quando era solo un bambino infatti preferiva raccogliere pietre da terra piuttosto che piccole mucche deliziosamente intagliate. Konrad Hofer lo ricorda ancora vividamente, cinquant’anni dopo: “Avevo solamente il bisogno di avere delle pietre in mano”.
Da pittore, egli è stato comunque sempre fedele a questo suo sogno infantile e alle pietre. E pensare che le uniche immagini che conosceva allora erano quelle delle copertine del Beobachter (un periodico svizzero sui diritti dei consumatori).
Questo approccio deciso e completo, che è cresciuto rispetto al suo primo stile Emmentaler, così lento e stabile, ha determinato la vita e il lavoro di Hofer. Ora è infatti incredibilmente autocritico e distrugge ripetutamente i propri disegni. “Non faccio vivere nulla di quello con cui sono in disaccordo”.
E così solo pochi dei suoi primi lavori possono essere visti in questa mostra a Liestal. “Natura morta con brocca e bottiglia davanti ad una finestra (circa 1955) affascina i visitatori grazie alla sua diligente costruzione conformista e grazie alle qualità dei toni di terra.
Ancora oggi Hofer continua ad avvicinarsi al ritorno verso le forme elementari, con le quali aveva già iniziato nelle sue opere giovanili con una scena di campagna che rappresenta sempre un punto di partenza. Guardando la concretezza delle colline, di una mandria di mucche, di una grande formazione rocciosa, egli cerca le forme geometriche di base e le rende visibili in sequenze cubiche e tavolozze ridotte.
In “Abfallende Küste” (Scogliera), una composizione del 1960, blocchi di pietra, enormi forme orizzontali, giacciono davanti al mare. Un burbero e gessoso bianco nel blu lucido intensifica l’impressione della natura grandiosa nello spazio del dipinto. E poco ci stupisce il fatto che l’ex curatore della Kunsthalle di Basilea, Arnold Rüdlinger, aveva già notato questo equilibrio tra colore e forma e aveva quindi deciso di esporre i lavori di Hofer, insieme a quelli di altri giovani artisti di Basilea, nel 1961.
Il passaggio dagli schemi colorati costruiti virtualmente dei suoi quadri al bassorilievo è stato così logico, come sempre quando si parla di Hofer. Dal 1969 in poi l’artista ha creato gradazioni dal legno o, come nel caso del lavoro per la facciata del BIS di Basilea, dalla pietra. Il suo fiuto per l’essenziale rende Hofer un partner estremamente ideale per gli architetti.
Le esperienze interne e quelle esterne si intrecciano a vicenda quando si tratta di un artista come Konrad Hofer. Questo è quello che è successo soprattutto nel 1975. La mezza età. È allora che Hofer ha trovato la campagna della propria anima. In Provenza è infatti “incappato” in una di quelle cave dalle quali gli antichi romani estraevano quei blocchi che hanno poi utilizzato per costruire l’acquedotto di Pont du Gard. Le sgrossature della pietra fatta dagli scavatori creano lì dei nuovi passi mai camminati prima. Scaloni, quasi fabbriche che ci ricordano gli antichi anfiteatri. Luoghi di silenzio e di tragedia che Hofer ha potuto inventare. Qui li mondo sinistro, che si faceva strada di nascosto, dell’Emmental era probabilmente completato da un antico dio gioviale del sud.
Le cave sono rimaste il soggetto principale di Konrad Hofer sino ad oggi. L’artista vi si siede, disegnatore solitario, ed è il posto che sceglie per abbozzare le proprie opere, per pensare. In questa sua bottega crea immagini. Le loro caratteristiche singolari sono quelle che stanno nel collegamento tra zone colorate e tratti disegnati. La luminosità abbagliante è trasformata in un’ombra scurissima.
Konrad Hofer scopre pitture geroglifiche per la topografia dinamica ma anche per l’immutabilità del tempo in questi luoghi.
“Gewaltige Verschiebungen” (Fratture massicce) è il titolo di una serie di disegni. Luminosi blocchi di calcare dominano l’immagine come piani inclinati costruiti severamente. Qualcuno potrebbe pensare che sono state disegnati come autostrade per alieni. Un’altra composizione è in effetti chiamata “Der Schatten des Ikarus” (L’ombra di Icaro), una sagoma scura sopra una terra rossa.
Konrad Hofer non diventa però improvvisamente metafisico. Ma per qualcuno come lui, che si sente a casa anche quando non ha nessun legame, non ci sono confini che separano una falsa credenza dalla realtà, lo spazio della natura dallo spazio dell’anima.

Annemarie Monteil

Prefazione al catalogo per la 14. mostra nella scuola di secondo grado “Gymnasium Bodenacker” di Liestal
3 Ottobre – 1 Novembre 1987

Il Bramante

Il Bramante

Il Bramante (alias: Marco Noviello 1981), opera ad Albinea dove fonda nel 2010 OOOPStudio assieme ad Alessandro Grisendi creando, a fianco di differenti realtà artistiche a livello internazionale, progetti per il teatro, per la musica, festival e performance.

Dalla scultura al video la connessione che si presenta come sogno.

Il tentativo di suggestione è questo: originando da materie prime e forme essenziali che ricompongo formando altro e assumendo, nella forma del sogno, il desiderio non solo di sembrare, ma di essere qualcosa d’altro, stratificando materie e visioni l’opera muta continuamente il proprio aspetto per mantenersi in una rivoluzione perenne ed eternamente vitale, inestinguibile.

Partendo quindi da materie povere, destinate al macero, utilizzando scarti come base, cerco di dar loro una nuova forma, colore e peso: una materia diversa che cambi continuamente nel tempo e inducendo un ulteriore rivoluzione mescolandole con il video, ricomponendole tra di loro, integrandole tramite la progettazione al contesto in cui son poste. A volte diventano soggetti, a volte sfondi, ma comunque co-protagonisti di una narrazione; trasponendo i soggetti che da scultorei diventano eterei componenti di un sogno, di un viaggio all’interno dell’animo umano. Ed è quindi da questa bramosia di ingannare, stratificando le materie e la fantasia delle visioni che si permette all’opera di poter cambiare ancora di aspetto per mantenerla in una condizione perennemente vitale.

In questo, l’approccio scenografico è ben oltre la frivola decorazione, ma si ricerca un’esperienza visiva e tattile nella quale è bene lasciarsi sprofondare tra le superfici ruvide, nell’alternanza delle forme morbide e pungenti, dove l’incontro con la materia è un incontro primitivo con le proprie sensazioni, primo luogo di conoscenza del mondo. E mentre si fa esperienza dell’opera, come del reale, continua il gioco della rappresentazione.

Antonella Giannone

Antonella Giannone

Antonella Giannone nasce nel 1990 a Modica (RG), dove vive e lavora.
Dopo il Liceo Artistico T.Campailla di Modica, consegue il diploma accademico di II livello in pittura nel 2016, presso l’Accademia di Belle Arti di Catania.
Mantiene costanti: la ricerca, lo studio e l’attività pittorica, partecipando a mostre collettive e personali.

L’espressione pittorica dei suoi lavori è frutto di un’attenta introspezione psicologica dei sentimenti, sviluppando una tematica progettuale in divenire.
Nelle sue opere il concetto fondamentale è il contatto con le superfici che diventa generatore di memoria: una sorta di lettura tattile riprodotta attraverso una tecnica personale che le permette la creazione di rilievi e incisioni, trasfigurando e smaterializzando l’immagine, facendo apparire e scomparire immagini di oggetti e di forme note sin dalla nostra infanzia.

Altro ambito di interesse ed applicativo è la didattica dell’Arte, utilizzata per la sua valenza educativa e sociale, nella conduzione di laboratori artistici attivati sia nelle scuole che al Dipartimento di Salute Mentale.
Negli ultimi anni ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti “Mediterranea” di Ragusa.

Pamela Vindigni

Pamela Vindigni

Pamela Vindigni vive a Modica (RG) ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze approfondendo nel suo percorso accademico lo studio della pittura e della scultura, realizza diverse mostre collettive e personali a Firenze Torino e nella sua città natale, si interessa anche ad altri linguaggi espressivi, in special modo alla performance e al teatro, seguendo diversi corsi e partecipando a produzioni come attrice e performer. Fondamentale nel suo pensiero la visione sociale dell’arte, da cui la stretta connessione con l’ambiente e i valori storico/culturali espressi dal territorio.
Nel 2017, insieme ad altri artisti, fonda l’Associazione “Artisti Associati – MATT’Officina” e attraverso la riqualificazione dell’ex mattatoio comunale di Modica crea un “laboratorio artistico polivalente”, luogo di produzione, dove dal 2018, oltre a diversi eventi e laboratori, viene organizzato e diretto il “Carnevale- Elogio alla trasformazione” ispirato a “L’antico Carnevale della Contea di Modica” di Serafino Amabile Guastella, la “Festa della Musica”, quest’ultima inserita nel circuito nazionale dei Beni Culturali e la prima edizione “OpenArt” evento di streetArt che avrà inizio a marzo 2022 per la riqualificazione di 15 zone urbane ed extra urbane della città.

Le mostre

Leonie Adler (UNICA)

Leonie Adler (UNICA)

Leonie Adler (UNICA) è un’artista contemporanea. Nata a Pune, in India, con radici irlandesi, è cresciuta in Svizzera. Si esprime con ago e filo. La sua fonte di ispirazione è l’ambiente, le diverse culture, ma anche la geometria. La sua prospettiva sull’arte e sulla creazione dell’arte è stata plasmata dall’artista Louise Bourgeoise e dall’artista tessile svizzera Lissy Funk. È anche membro dell’associazione artistica GAAL.

Leonie Adler (UNICA) is a contemporary artist. Born in Pune, India with Irish roots, grew up in Switzerland. She expresses herself with needle and thread. The source of her inspiration is the environment, as well as different cultures, but also geometry. Her perspective on art and the creation of art is shaped by the artist Louise Bourgeoise and the Swiss textile artist Lissy Funk. She is also a member of the art association GAAL.

 

Riconosciamo nel formalismo l’unico mezzo per sottrarci ad influenze decadenti, psicologiche, espressionistiche. Ci interessa la forma del limone non il limone.

 Manifesto di “Forma 1”, 15 marzo 1947.

 

Le mostre

Raffaello De Vito

Raffaello De Vito

Raffaello De Vito nasce a Mirandola nel 1967. Vive e lavora come fotografo pubblicitario a Reggio Emilia. Si avvicina alla fotografia all’età di 12 anni e a 14 inizia il suo percorso formativo in uno studio di fotografia pubblicitaria, esperienza che lo porterà a confrontarsi con diversi professionisti del settore e con importanti aziende presenti sul mercato internazionale. Alla fine degli anni Ottanta inizia una collaborazione come assistente alla produzione con Luigi Ghirri, collaborazione che si interrompe nel 1991 con la prematura scomparsa del grande fotografo e che ha dato inizio a una ricerca visiva che esplora ancora oggi.
Un costante lavoro di semplificazione, di sottrazione e di sintesi verso un linguaggio universale immediatamente comprensibile. Ha al suo attivo diverse esposizioni in Svizzera, Francia, Spagna, Inghilterra e Italia oltre a numerose pubblicazioni nei siti web di tutto il mondo.

Raffaello De Vito wurde in Mirandola im 1967 geboren, im Jahr 1981 begann er als Fotograf in einem Studio Öffentlichkeitsarbeit fotografieren. Er lebt und arbeitet als Werbefotograf in Reggio Emilia.

Le mostre