Archivio Categoria: raffaello-de-vito-mostra

NERO PINOCCHIO

NERO PINOCCHIO

LUGLIO – SETTEMBRE 2022

di Raffaello De Vito

La schietta e nitida visione del romanzo di Collodi ne sostiene la polimorfica struttura che da sempre offre lo spunto a molteplici interpretazioni, qui in maniera volutamente frammentaria, a porzioni, quasi dispensando si vuole portare davanti all’occhio dello spettatore il carattere più cupo del racconto, il suo substrato gotico, aspetti che nell’immaginario collettivo, anche grazie a letture edulcorate come quella di Disney, tendono generalmente a smarrirsi.

Quella che può sembrare una sfumatura letteraria è invece ora innegabilmente la realtà del nostro mondo quotidiano: Pinocchio raggirato, incatenato, sfruttato, accoltellato, impiccato, ingiustamente imprigionato vive la similare condizione dei migranti in arrivo nel “bel paese dei balocchi”.

La nostra fiaba, così come le vicende di sopraffazione e violenza che troppo spesso accompagnano l’integrazione dei migranti di ogni terra, in ogni epoca, sono la chiave di lettura di questo frammento di “Nero Pinocchio”.

Raffaello De Vito

The blunt and sharp vision of the novel by Collodi supports the polymorphic structure that has always provided the key to multiple interpretations. In a deliberately patchy fashion, almost in parceled-out allotments, the goal is to show the reader the gloomiest nature of the story and its underlying Gothic vision; these are aspects that in the collective fictitious world, thanks to sugarcoated readings such as Disney’s, tend to get lost.

What may seem like a literary nuance is the undeniable reality of our everyday world: Pinocchio conned, chained, exploited, stabbed, hung, arrested, and unjustly imprisoned, embodies a similar situation to that of the migrants arriving in the „beautiful land of toys.“

Our fairy tale, as well as the stories of abuse and violence that too often go along with the amalgamation of migrants from every land and every era, are the key to the reading of this section of “Black Pinocchio.”

Raffaello De Vito

Die ehrliche und ungetrübte Lektüre von Pinocchio setzt am polymorphen Aufbau des Romans von Collodi an, der schon seit seiner Entstehung zur vieldeutigen Interpretation einlud, die sich hier gewollt fragmentarisch darstellt, fast als wolle man sie dem Betrachter in Portionen servieren, um ihm die düstersten Aspekte, deren gotisches Substrat, vor Augen zu führen.

Das heißt genau die Seiten, die – dank der Verniedlichung durch Disney und ähnlichen Versionen – dazu tendieren, dem kollektiven Bewusstsein abhanden zu kommen. Aus dem, was manchem eine literarische Feinheit zu sein scheint, wurde heute unleugbar eine Realität des alltäglichen Lebens.

Pinocchio, der betrogen, in Ketten gelegt, ausgebeutet, erdolcht, gehenkt verhaftet und ungerechterweise eingekerkert wird, macht Ähnliches durch wie die Migranten aller Herren Länder und aller Zeit, dies ist der Interpretationsschlüssel, um unsere fragmentarische Darstellung des “Nero Pinocchio” zu erschließen.

Raffaello De Vito

L’artista

RECENSIONI

Nero Pinocchio (Allonsanfàn parte quattordicesima: Raffaello De Vito)

di Giovanni Carbone

Le atrocità sollevano unindignazione minore, quanto più le vittime sono dissimili dai normali lettori, quanto più sono more”, sudice”, dago. Questo fatto illumina le atrocità non meno che le reazioni degli spettatori. (…) Laffermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom. Della cui possibilità si decide nellistante in cui locchio di un animale ferito a morte colpisce luomo. Lostinazione con cui egli devia da sé quello sguardo – “non è che un animale” – si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli uomini, in cui gli esecutori devono sempre di nuovo confermare a se stessi il non è che un animale”, a cui non riuscivano a credere neppure nel caso dellanimale. Nella società repressiva il concetto stesso delluomo è la parodia delluguaglianza di tutto ciò che è fatto ad immagine di Dio. Fa parte del meccanismo della proiezione morbosa” che i detentori del potere avvertano come uomo solo la propria immagine, anziché riflettere lumano proprio come il diverso”. (Theodor Adorno)

Raffaello De Vito è fotografo raffinato, dotato di grande tecnica, padronanza degli strumenti. Ma non ne fa uso consueto, non ricerca perfezione d’immagini e basta, studia, concepisce, elabora narrazioni complesse. Il suo Nero Pinocchio”, in mostra prima a Basilea, poi all’Altelier di Modica Alta (Luglio-Settembre 2022), è il recupero della vicenda del burattino secondo una rilettura analitica e controcorrente – o forse spietatamente corretta – delle pagine Collodi, attraverso il filtro efficacissimo della sua trasposizione televisiva di Comencini.

Il burattino di De Vito si riappropria di atmosfere gotiche, minimaliste, sopite allo sguardo da trascorsi rassicuranti e consueti, come nelle illustrazioni “educative” del Dorè, o filmiche, manichee, edulcorate delle animazioni disneyane. Denuncia l’inadeguatezza di quelle rappresentazioni, disdegna con sguardo arguto l’idea del burattino che diviene finalmente bimbo in carne ed ossa solo dopo un percorso di crescita di consapevolezze cash & carry.

De Vito centra la quinta scenografica della vicenda nell’estremo miserabile del mondo degli ultimi, ma non ne fa riproposizione compassionevole, pietistica. Ne disvela piuttosto l’essenza materiale, non indugia in infingimenti, nemmeno produce moralismi.

Il suo Pinocchio, come quello di Comencini, attraversa l’orrore della violenza (le torture di Abu Ghraib, la grottesca umiliazione dei prigionieri chiusi in sai pinocchieschi, appunto), è vittima di giustizie ingiuste (il carabiniere non ha sguardo umano, è solo divisa, financo nello sguardo), attraversa l’effimero eldorado del paese dei balocchi, la sconfinata illusione d’una vita altra, viene ingannato, vilipeso. Pinocchio, dunque, nella narrazione di De Vito, è burattino per sempre, vittima assoluta, paga pegno per la sua deviazione dal consueto.

È personaggio contemporaneo, si riaffaccia all’oggi nelle parallele forme del migrante, con le sue identità annullate, marginalizzato, respinto, vilipeso, torturato, sfruttato, ridotto a clandestinità permanente.

Il Gatto e la Volpe dialogano negli abiti più consoni al loro ruolo di predatori, non solo di qualche moneta, d’umanità. Sono gli incappucciati del Ku Klux Klan, paiono divertirsi nel pianificare la caccia all’ultimo, la sua definitiva marginalizzazione. I volti celati nascondono nature social, di piazza virtuale che urla a nuove, abbondanti impiccagioni, crocifissioni.

Mangiafuoco è convitato di pietra d’ogni immagine, non è soggetto riconoscibile, non è immagine precisa in quanto sistemico, artefice del circo della filiera lunga, massimizzatore di profitti, si nutre dei nuovi schiavi.

È il 100% italiano che esclude da tracce percentuali nazionalità di braccia invisibili, corpi depredati. Pinocchio è bracciante senza nome, sconta identità sottratta, corpo dimenticato, spiaccicato sui prodotti dell’”eccellenza” a cottimo, un tanto al chilo, archetipo illustrativo d’operare di caporalati collettivi.

C’è più di qualche congruenza in “Nero Pinocchio” con l’essenza stessa dell’originale collodiano, se ne coglie il ribaltamento paradigmatico della visione consueta, in un certo senso la narrazione è compiuta, con la sua vertigine dialettica. Come per un fiume carsico De Vito fa riemergere la critica profonda a realtà che parevano dimenticate, da quel tempo di secolo nobile, e che, invece, sopravvivono, invisibili, sotto traccia, spaventose come allora.

Modica 18 Luglio 2022